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Per Aspera Ad Veritatem n.11
RAPPORTO ECOMAFIA ‘98 - L'illegalità ambientale in Italia e il ruolo della criminalità organizzata

a cura di LEGAMBIENTE





In data 18 marzo 1998 LEGAMBIENTE ha pubblicato il "Rapporto Ecomafia '98 - L'illegalità ambientale in Italia e il ruolo della criminalità organizzata" con il quale viene fornito un dettagliato quadro concernente le condizioni ambientali che attualmente caratterizzano il territorio italiano, dedicando particolare attenzione alla raccolta, al riciclaggio e allo smaltimento dei rifiuti nonché all'abusivismo edilizio.
Dopo una breve premessa generale, vengono esaminate tematiche concernenti il "ciclo" del cemento e il "ciclo" dei rifiuti, approfondite attraverso il contributo dei rapporti stilati dalle Forze di Polizia e analizzate a cominciare dalle quattro regioni di tradizionale insediamento mafioso per passare successivamente a ciascuna realtà regionale.
Viene qui di seguito pubblicato stralcio di tale rapporto limitatamente alla regione Lazio nel cui territorio sembrano registrarsi segnali allarmanti di un sensibile incremento dei fenomeni criminali esaminati.


Il Lazio è da sempre stato considerato da Legambiente un anello importante nella "monnezza connection" che ha caratterizzato l'Italia illegale dei rifiuti: un ruolo dovuto alla centralità geografica di questa regione e alla sua prossimità con aree del territorio italiano dove la presenza di organizzazioni criminali risulta più massiccia, come la Campania, ed in particolar modo la provincia di Caserta. Va ricordato che già nel marzo 1995 Legambiente denunciò, con il dossier i "rifiuti S.p.A. 2", le infiltrazioni criminali, le rotte dei TIR, il volume d'affari, i poli di smaltimento di quella che venne battezzata la "holding dei rifiuti".
Tra le regioni maggiormente coinvolte nei tentacoli criminali, e a rischio di vera e propria emergenza, venne individuato proprio il Lazio. L'allarme lanciato in quella sede è stato purtroppo confermato dai fatti nel corso di questi anni, e anzi il fenomeno ha assunto anche connotati di maggiore gravità rispetto a quanto lì venne denunciato nel 1995. L'ultima autorevole indicazione in questo senso è venuta nel corso dell'audizione davanti alla Commissione Parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti del sostituto procuratore nazionale antimafia Luigi De Ficchy: "Il settore dei rifiuti riferendosi alla situazione laziale, è infiltrato da elementi e gruppi della criminalità organizzata: mafia, 'ndrangheta e soprattutto camorra. Gruppi criminali organizzati che dominano il territorio in molte parti del Lazio.
Questo controllo permette di usare cave, alvei dei fiumi, terreni agricoli come discariche abusive dei rifiuti (...) In, questa regione ci sono zone che per quanto riguarda il controllo della criminalità
organizzata non hanno niente da invidiare alla Campania e alla Sicilia; basta andare a 30-40 chilometri da Roma per trovare comuni con una presenza territoriale di gruppi esponenziali di mafia, 'ndrangheta e in particolare camorra, che controllano il territorio, riciclano gran parte dei proventi delle attività illecite e consentono anche l'abbandono di questi rifiuti in terreni in aperta campagna. Ciò avviene a Cassino, Latina, Formia, Pomezia, Anzio, Nettuno, Ardea; tutti territori in cui dalla fine degli anni Settanta si stanno insediando e ingrandendo molti gruppi appartenenti alle organizzazioni più pericolose della criminalità organizzata campana, calabrese e siciliana". L'allarme lanciato in ordine alla penetrazione delle organizzazioni criminali nel Lazio dal procuratore De Ficchy rispecchia il quadro fornito, nella stessa sede, dal presidente della Commissione per la lotta alla criminalità della regione Lazio, Angelo Bonelli. I dati rilevati dalla direzione di polizia criminale del Ministero dell'Interno forniscono un'analisi preoccupante del tessuto criminale nella regione, dal quale si evince che sul territorio operano, in diversi campi, organizzazioni criminali nazionali come la mafia, la camorra e la 'ndrangheta, e straniere. In particolare, con 103 reati denunciati nell'ambito dell'associazione a delinquere, anche di stampo mafioso, il Lazio nel 1996 è risultato al quarto posto in Italia tra le regioni a rischio nel campo della criminalità organizzata. Un episodio significativo è quello segnalato dal Prefetto di Roma Giorgio Musio davanti alla Commissione Parlamentare d'inchiesta: "Il 2 aprile 1996 sono state deferite in stato di libertà 21 persone dell'amministrazione comunale di Anzio per i reati di cui agli articoli 110, 323, 328 e 416 ter del codice penale (voto di scambio mafioso) a seguito di indagini relative alla gara di appalto per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani vinta dalla ditta Colucci Spa di Napoli". L'episodio è stato successivamente illustrato nel dettaglio dal dott. Giuseppe Patrone, sostituto procuratore della Repubblica di Velletri titolare dell'indagine: "Da parte nostra si assume che tale appalto sia stato affidato in violazione di uno dei requisiti previsti dal capitolato, riguardante la portata minima complessiva degli automezzi. Nella fattispecie, il capitolato di appalto richiedeva una portata minima complessiva di 800 quintali. Tale requisito non è stato riscontrato per quanto concerne la ditta Colucci (...) Un ulteriore aspetto fa riferimento alle modalità di pagamento di quanto dovuto alla ditta Colucci per l'espletamento del servizio. Per il periodo luglio-agosto-settembre 1995 il comune di Anzio si è regolato nel senso di pagare le fatture in ragione del 70 per cento, cioè decurtando il quantum originariamente previsto, alla luce della presunzione che fossero individuabili mancanze della ditta nell'espletamento degli incarichi ad essa affidati. Successivamente, per liquidare il saldo di queste fatture (con riferimento, cioè, al restante 30 per cento) fu conferito un mandato, nonostante i servizi per i quali era avvenuta la decurtazione non fossero stati realizzati".
Quanto accaduto ad Anzio è dunque un caso illuminante della leggerezza con la quale nel passato si sono mosse le amministrazioni comunali nell'affidare un appalto delicato come quello del trasporto e della raccolta dei rifiuti. Anche grazie a simili atteggiamenti hanno potuto proliferare società poco limpide, e si sono moltiplicati episodi di smaltimenti illeciti ammantati di un'aurea di assoluta legalità.
Ma particolarmente illuminanti sul ruolo della regione Lazio sono due filoni d'indagine che il sostituto procuratore presso la Pretura di Roma Giuseppe De Falco ha illustrato davanti alla Commissione Parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Il primo (attualmente in fase dibattimentale presso la sezione distaccata di Frascati) concerne l'illecito smaltimento di rifiuti solidi prodotti dai comuni del Lazio durante la stagione della cosiddetta emergenza esplosa dopo la chiusura della discarica di Malagrotta a tutti i comuni della provincia di Roma (anni 1992-93). "Una truffa messa a segno da alcuni intermediari - ha detto De Falco - che faceva passare per lecito lo smaltimento in discariche illegali della Campania e della Puglia o addirittura l'abbandono dei rifiuti in cave dismesse e alvei dei fiumi (...) Queste cosiddette società commerciali che proliferavano nel settore erano venute in contatto con intermediari in grado di trovare delle destinazioni al sud nelle note discariche campane, pugliesi e calabresi che si trovavano sotto il controllo della criminalità organizzata".
L'altro filone d'indagine trasferito per competenza alla Procura di Monza è diverso e più recente, e nasce a seguito dell'emergenza rifiuti in diverse aree del settentrione, e vede il Lazio come punto terminale di arrivo dei rifiuti mentre nel caso precedente era il punto di partenza. è interessante e indicativo il sistema illegale messo a punto per aggirare le prescrizioni di legge e i controlli, nonché usufruire degli incentivi previsti dal DL 22/97 (Decreto Ronchi) per agevolare il recupero e il riciclaggio dei rifiuti. L'attività di recupero, giustamente incentivata dal legislatore, viene di fatto utilizzata per concretare degli illeciti. Si tratta di un sistema molto conosciuto, ossia il cosiddetto "giro bolla", messo in opera diverse volte per aggirare i divieti previsti. La truffa consiste nella presentazione di fasulli certificati di avvenuto smaltimento o trattamento, mentre i rifiuti finiscono in aree o capannoni industriali privi di qualsiasi strumento utile a questo scopo, che quindi rappresentano delle vere e proprie discariche abusive. I proprietari di queste aree rilasciano le loro dichiarazioni ai sensi della normativa, cioè danno la comunicazione che provvedono al recupero, ma in realtà non lo fanno. Si tratta di un sistema illegale in certa misura favorito dalla nuova normativa che consente di operare attraverso il regime di comunicazione, e in tal caso il controllo da parte della pubblica amministrazione, previsto comunque dalla legge, è solo eventuale e successivo.
La truffa ha anche risvolti importanti nelle regioni di destinazione dei rifiuti: infatti questi vengono presentati come prodotti da un impianto del Lazio (per il caso in questione), ripartono e vanno in una discarica della regione. In tal modo è stato aggirato il contingentamento delle discariche e sono giunti nel Lazio rifiuti prodotti dalla Lombardia, che altrimenti non sarebbero potuti arrivare. Vi è quindi una attività di recupero non realizzata, ma utilizzata soltanto per aggirare divieti di smaltimento e in alcuni casi per uno smaltimento diverso da quello rappresentato.
"Il pattume illegale arrivato nel Lazio - ha affermato Massimo Scaba, presidente della Commissione Parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti - assomma a circa 50.000 tonnellate, giunto soprattutto dalla Lombardia, si è giovato della disponibilità di ditte ben disposte a fare operazioni illecite, delle infiltrazioni della criminalità organizzata nella regione, delle maglie larghe di una normativa che consente una semplice dichiarazione per le attività di recupero rifiuti".
L'esistenza di fenomeni di penetrazione della criminalità in questo settore, è stata ribadita, nelle dichiarazioni rese davanti alla Commissione Parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, dal presidente della commissione criminalità della regione Lazio, Angelo Bonelli: "La camorra ha individuato nei cantieri di servizio ai lavori di realizzazione dell'Alta Velocità nella tratta Roma-Napoli siti dove poter seppellire rifiuti tossici e nocivi provenienti in gran parte da industrie del nord o da paesi esteri (...) Il primo allarme è stato comunicato recentemente da un comitato di cittadini: due vigili notturni sono stati testimoni oculari di un interramento di bidoni e di versamento di liquido presumibilmente tossico nel comune di Pratica in provincia di Frosinone. L'operazione è avvenuta tra l'una e le tre di notte, c'era un escavatore ed il cantiere era stato opportunamente coperto alla visuale con tralicci e teloni verdi. Sono stati rilevati i numeri di targa dei camion, stranieri provenienti dalla Gran Bretagna e dalla Croazia".
In merito ai traffici internazionali di rifiuti va poi citata la denuncia fatta davanti alla Commissione Parlamentare dal Prefetto di Roma Giorgio Musio, relativa a un'indagine su un traffico internazionale di rifiuti speciali (farmaci scaduti) che, tramite l'intermediazione di vari personaggi e ditte di smaltimento di nazionalità italiana e straniera, dalla Svizzera, transitando per il nostro Paese vengono smaltiti a basso costo nei paesi dell'est. Da queste dichiarazioni sembra che ci sia un filo sottile che collega i vari stati europei e non solo ad una grande ragnatela internazionale che consente a grossi quantitativi di rifiuti di muoversi come le pedine di una dama, con gravi ripercussioni per la salute di tutti i cittadini.
Anche l'assessore all'ambiente della regione Lazio, Giovanni Hermanin, ha denunciato l'infiltrazione di organizzazioni criminali nei grandi appalti pubblici e nella gestione di notevoli quantitativi di rifiuti tossici. Nell'audizione tenuta davanti alla Commissione Bicamerale, l'assessore ha confermato il proficuo intreccio che esiste "tra le ditte dei subappalti per la realizzazione dei cantieri dell'alta velocità e l'attività di smaltimento abusivo 'mordi e fuggi'. Ed ha aggiunto che grosse preoccupazioni e forti sospetti ci sono per alcune cave e certe attività estrattive e di movimento terra. Questi elementi confermano con chiarezza l'ampiezza che il fenomeno sta assumendo nel Lazio ed in particolare nelle provincie di Latina e Frosinone, fino alle porte di Roma. I territori laziali si caratterizzano sia come zona di 'approvvigionamento' di rifiuti da smaltire illegalmente che come area di smaltimento abusivo".
Il pericolo da tempo paventato da Legambiente di un ruolo di primo piano della regione Lazio nello smaltimento illegale di rifiuti è dunque divenuto ormai un fatto consolidato, e accertato a tutti i livelli. La crescita del fenomeno fonda le proprie radici su diversi fattori: la presenza di molte aree industriali dismesse, con una grande disponibilità di capannoni abbandonati; la facilità dei collegamenti stradali con aree del territorio nazionale storicamente coinvolte dal fenomeno dell'ecomafia; una presenza considerevole in molte aree del territorio laziale di tentacoli criminali che non hanno nulla da invidiare, come ha detto De Ficchy, a zone della Campania e della Sicilia. Tutte condizioni estremamente favorevoli per l'espansione dell'ecomafia.
Si tratta di episodi che vanno correttamente inquadrati al fine di comprenderne l'effettiva gravità: quali canali illeciti seguono i rifiuti industriali per raggiungere territori che non figurano, certo, nella mappa ufficiale dei siti di smaltimento dei rifiuti? Quale vera e propria attività di "intelligenze" criminale guida i TIR che provengono dalle province del Nord Italia fino a zone poco conosciute eppure strategicamente idonee agli smaltimenti illegali? Di quali supporti godono, anche a livello locale, i soggetti che operano questi traffici su scala nazionale e internazionale?
Lo smaltimento illegale di rifiuti sia di origine industriale che urbani non è certo una caratteristica esclusiva del Lazio. Ciò che rende la situazione laziale del tutto particolare rispetto a questi scenari e che la accomuna, anche se in dimensioni apparentemente meno rilevanti, ad altri territori come il Casertano, la provincia di Napoli, alcune aree della Murgia in Puglia, la provincia di Matera in Basilicata, è il ripetersi nel corso degli ultimi 6-7 anni di episodi che rientrano in una sorta di sistematico "import-export" illegale di rifiuti.
E' dunque su questi traffici, o meglio su quelli emersi grazie all'attività delle forze dell'ordine, alle denunce delle associazioni ambientaliste e alle indagini della magistratura, che vale la pena soffermarsi per ricollocare eventi lontani nel tempo e nei luoghi in un contesto omogeneo di analisi e di valutazione. Questo lavoro, che dovrà essere reso, secondo Legambiente, sistematico, può consentire l'elaborazione di adeguate strategie di prevenzione e di contrasto.
Già oggi del resto, il traffico illecito di rifiuti tossici e nocivi ha trasformato il Lazio in un territorio di transito e di occultamento dei rifiuti. La camorra che gestisce questo remunerativo traffico, agisce in particolare nelle provincie di Frosinone e Latina fino alle porte di Roma.
E' entrata nel guinness dei primati la discarica di rifiuti tossici sequestrata alle porte di Pontinia. Migliaia di fusti, circa 11.600, e di pneumatici non riutilizzabili sono stati ritrovati abbandonati sotto il sole nell'area di Mazzocchio nella zona industriale della cittadina. La scoperta è avvenuta in seguito ad un sopralluogo nella provincia di Latina della Commissione bicamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti: l'impianto, ufficialmente, doveva servire al trattamento dei fusti che avevano contenuto rifiuti tossici e nocivi. Ma in realtà buona parte dei fusti risultava ancora piena (come dimostravano le "bollicine" che giungevano in superficie per il caldo) e non esisteva alcun macchinario utile al trattamento dei rifiuti contenuti nei fusti. L'unico mezzo meccanico presente era un carrello elevatore, mentre ai lati dell'impianto si trovavano due grosse cisterne, dove gli stessi addetti hanno rivelato scaricarvi i rifiuti liquidi. Notizia preoccupante, in assenza di qualsiasi impianto di depurazione. L'inchiesta è attualmente in corso presso la Pretura di Latina. Tale sequestro è la più evidente conferma dell'allarme lanciato dal sostituto procuratore nazionale antimafia Luigi De Ficchy sull'infiltrazione dell'ecomafia nel Lazio, da Cassino a Latina fino alle porte di Roma.
Nella provincia pontina, poi, i carabinieri al comando del Colonnello Vittorio Tomasone hanno scoperto e sequestrato nel corso di una maxioperazione alcune discariche, denunciate trenta persone ed elevato contravvenzioni per centinaia di milioni. In particolare a Cisterna, in un'area di un ettaro, i militari hanno sequestrato un terreno dove venivano sotterrati rifiuti ospedalieri provenienti da cliniche del Nord Italia. In un'altra zona erano sotterrati residui cementizi tossici mentre a Terracina venivano interrati residui di acidi usati per l'igiene della casa. In un'area demaniale vicino al porto di Gaeta, invece, i carabinieri hanno scoperto un carico di oli esausti.
In questi territori a rischio, inoltre, sono stati sequestrati diversi capannoni utilizzati per stoccare illegalmente rifiuti provenienti dalla Lombardia e destinati secondo le indagini a discariche illegali della Campania (si tratta di un meccanismo già illustrato nei precedenti capitoli di questo dossier).
Sempre in provincia di Latina, alle porte del capoluogo, la Questura ha sequestrato una discarica abusiva nel corso di un'operazione contro l'immigrazione clandestina. Andata a verificare la presenza di extracomunitari in un'area a Borgo Piave, la Polizia si è trovata di fronte a un'area di tre ettari trasformata in discarica, dove i rifiuti erano stati peraltro debitamente separati e sistemati in maniera "differenziata".
Un'altra area di crisi è quella di Frosinone e provincia, interessata da una serie ininterrotta di rinvenimenti di discariche abusive. Carabinieri, Polizia e Corpo Forestale dello Stato hanno rinvenuto migliaia di tonnellate di rifiuti di ogni tipologia nell'area circostante Pontecorvo e nel cassinate, a testimonianza di vecchi e nuovi smaltimenti illeciti. Nelle campagne di Pontecorvo in un terreno già utilizzato come cava di pietrisco al servizio dell'Alta Velocità sono state scoperte otto tonnellate di scorie composte da ossido di zinco misto ad ammoniaca derivanti dalla pulizia degli impianti produttivi del Nord, un sistema già visto tante volte soprattutto in provincia di Caserta. Ad impedire che il micidiale cocktail finisse nel terreno sono stati i carabinieri che hanno immediatamente avviato un'indagine per appurare la provenienza delle sostanze inquinanti. I carabinieri nei giorni successivi hanno segnalato alla procura di Cassino le due aziende lombarde da dove erano partite le scorie ritrovate nelle campagne di Pontecorvo. La procura ha inoltre inviato un'informazione di garanzia di Legambiente-Rapporto Ecomafia '98 a due imprenditori locali per violazione della legge ambientale. I rifiuti tossici e nocivi sono stati rimossi dal terreno e portati in un luogo sicuro a carico della società produttrice che si è impegnata a smaltirli.
Dalle indagini condotte dal Nucleo Operativo Ecologico dell'Arma dei Carabinieri, a partire dal novembre del 1994, è emerso un ruolo diretto di clan camorristici in particolare quello dei casalesi nell'attività di raccolta e smaltimento rifiuti. L'inchiesta ha portato al sequestro di 5 centri di stoccaggio abusivo e ha consentito di bloccare sul nascere l'illecito smaltimento di circa 100 mila tonnellate di rifiuti. Una società operante in provincia di Frosinone, inoltre, risulta coinvolta in un'indagine avviata dalla Guardia di Finanza di Pavia e relativa al rinvenimento di 81 mila tonnellate di rifiuti in larga parte tossico-nocivi provenienti dal Nord Italia e dall'estero, stoccati abusivamente tra Lazio e Lombardia.
Ancora più gravi le dimensioni che avrebbe raggiunto il traffico dei rifiuti urbani raccolti in questa provincia da una serie di soggetti plurinquisiti (le relative indagini sono state avviate dalla Procura presso la Pretura di Roma e trasmesse, per competenza, a quella di Frosinone): in questo caso l'inchiesta riguarderebbe lo smaltimento abusivo di circa 500.000 tonnellate, trasportate da qualcosa come 18-20.000 TIR a spasso per l'Italia. Anche in questa inchiesta, figurano esponenti di spicco dell'holding più volte denunciata da Legambiente, come Gaetano Cerci, questa volta collegati a società locali. Tra le discariche formali di smaltimento figura la Al.Ma di Villaricca, il cui titolare di fatto, Luca Avolio, è stato condannato in primo grado a 2 anni e 7 mesi di reclusione dalla VII sezione del tribunale di Napoli nell'ambito dell'inchiesta sulla "rifiuti connection" campana.
I rifiuti della provincia di Frosinone, del resto, sono stati intercettati a più riprese in discariche abusive pugliesi (sia nel Comune di Bitonto che in quello di Altamura). Un'indagine della Regione, come ha riferito lo stesso Hermanin davanti alla Commissione d'inchiesta sui rifiuti, ha accertato che in tre anni di mancato funzionamento dell'impianto di Colfelice sono stati spesi dai Comuni della provincia di Frosinone circa 200 miliardi di lire per lo smaltimento, a volte illegale, dei rifiuti solidi urbani da loro prodotti.
La situazione è dunque estremamente preoccupante, e per questo Legambiente ha richiesto da due anni alla Regione Lazio l'istituzione di un Osservatorio regionale su ambiente e legalità; la proposta, esaminata e approvata dalla Commissione Criminalità della Regione, è però ferma da molti mesi in attesa di essere discussa dal Consiglio Regionale. Legambiente in questa sede sollecita ancora una volta gli organismi regionali ad attuare al più presto questo strumento, per arginare un fenomeno che specie nelle provincie di Latina e Frosinone è in costante espansione


(*) Stralcio a cura della Redazione.

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